Nella vita di ogni femmina che si rispetti c’è una fase, quella che sta a cavallo (e vabbuò, non facciamo facili battute) tra la fine dell’infanzia e l’adolescenza spinta, nella quale le possibilità di accoppiamento con i rappresentanti dell’altro sesso vengono valutate e analizzate sulla base di un parametro infallibile, per quanto empirico: il nome di lui.
Algoritmi complessi e inesplicabili vengono sviluppati sul mucchietto di lettere che costituisce l’etichettatura sociale del povero disgraziato.
Nessun problema per i Marco, Andrea, Alessandro, Francesco. Sono oggetto d’amore imperituro e senza tentennamenti. Tutte le ragazze sognano il primo bacio con uno di loro.
Il mio preferito era Lorenzo (ero originale pure allora) ma, nella fascia di età tra i 6 e i 46 anni, non si trovarono esemplari accessibili così etichettati. La solita sfigata.
Sull’importanza del nome di lui, ai tempi, sviluppai una teoria. Infallibile, come tutte le teorie che non ammettono dimostrazione (il teorema di Fermat, al confronto, era una barzelletta).
Svolgimento: un nome di maschio, per essere buono, deve essere pieno di “r”. Meglio ancora se stanno sia nel nome che nel cognome. Non ne parliamo, poi, se, oltre al nome, c’è pure un secondo nome pieno di “r”.
E’ capitato, pure, che l’ho trovato uno con il nome perfetto. E ci siamo lasciati.
Abbandonate illusioni e sogni di gioventù, con il tempo, si impara che è meglio non fare tanto le schizzinose; e finisce che qualcuna si fidanza pure con un giacomo qualsiasi.
E’ successo davvero, l’ho visto con i miei occhi.
No, per me niente giacomi. Io sono semplicemente rimasta zitella.
(oh, giacomi, non v’incazzate. Niente di personale, si capisce. Si fa così, tanto per scrivere due scemità.)
Poi, un giorno, capita che ti passano, scandendo titolo e nome per intero, la chiamata di un collega; uno con cui lavori da un po’ di tempo, archiviato come <<piacione-ricciobiondoocchiazzurri>>, sottocartella <<aperitivostracciapalle>>.
Ergo, uno da evitare come la peste … con il nome più perfetto (lo so che non si dice, ma qui è una licenza romantica) mai sentito in questa parte del mondo.
(quelli dell’altra parte, i nomi intendo, non li capirei)
Due nomi e un cognome da urlo.
R in ogni dove.
Da brividi.
Fortuna che i 16 anni, ma pure i 26, ma pure i 36, sono passati.
Ma da mo’.